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AMARCORD – Tra passato e presente

By Elisa Vinante

Correva l’anno 2013 quando scrissi questo articolo, in treno, tornando da Roma, dove al tempo aveva sede la mia prima squadra di powerlifting. A rileggermi ora mi rendo davvero conto di quanta strada ho fatto in così pochi anni.
In quel tempo, dal 2011 al 2013, cercavo di capire quanto più mi era possibile sulle logiche dell’allenamento della forza. Erano gli anni di “traning people” come unico movimento socials per il powerlifting.
Ricordo la mia solitudine in palestra dove non avevo nessun confronto, nessun compagno di allenamento, il mio quaderno degli appunti per annotare tutte le sensazioni e per cercare di capire come dovevo modulare i carichi. Ricordo le mie ricerche in rete nel tentativo di trovare qualche libro che mi illuminasse, la mia sete di conoscenza, la mia curiosità. A ripensarmi ora mi rendo conto che per chi inizia adesso è tutto molto più facile. Il movimento del powerlifting si è allargato a macchia d’olio ed è ora molto più semplice e pratico trovare metodi, soluzioni, risposte e ambienti in cui confrontarsi e crescere.
Al tempo in cui careggiai io, nel campionato Raw, le gare femminili e maschili si svolgevano in un giorno soltanto. Il livello era sicuramente più basso e portare a casa una medaglia e dei record italiani era quasi un gioco da ragazzi. Ma il valore, il valore vero di quel mio passaggio, è stato arrivarci da sola. Il mio record italiano di squat del tempo si realizzò per la prima volta un paio di mesi prima della gara, in una palestra deserta alle nove del mattino, senza nessuno che mi facesse assistenza. Dovevo solo ripeterlo in pedana.
Al tempo le cose andavano così, era molto più difficile arrivare, anche se a guardarlo ora, quel tempo, il risultato in pedana sembrava decisamente più facile.

“In cammino verso la forza – La mia esperienza al Campionato italiano di powerlifting Raw (2013)

Fin da bambina ho sempre desiderato essere forte. Sono sempre stata attratta da tutto ciò che è manifestazione di forza e potenza, ma non ho mai avuto una particolare predisposizione alla competizione, anzi, chi mi conosce profondamente sa che per la natura del mio carattere la pedana, il palcoscenico, mi creano sempre quel particolare senso di inibizione e imbarazzo. Ma allora da dove è nata l’idea di partecipare ad un campionato di powerlifting?

Quello che andavo cercando, oltre al coraggio di superare la mia natura un po’ timida, era il confronto. Da un anno e mezzo mi alleno da sola, e tutto quello che ho per comprendere ciò che sto facendo sono le mie sensazioni. Si certo, eseguo periodicamente dei test dei massimali, ma alzare qualcosa in più del mese precedente, senza sapere se l’alzata è valevole entro dei parametri regolamentari, non significa tassativamente che si è migliorati. Migliorare tecnicamente a volte richiede anche la rinuncia al tanto sudato massimale, significa avere la consapevolezza che è necessario un lavoro di perfezionamento lento ma costante che darà i suoi risultati in un tempo futuro, ma in modo crescente.

La consapevolezza di quanto sia necessario il confronto si è fatta strada nella mia testa dopo il primo weekend al corso istruttori FIPL organizzato dall’Accademia della Forza. Ricordo ancora la sensazione di sconforto al ritorno da Firenze la domenica sera. Tema di quel week-end: “lo squat” , e io dello squat dovevo ancora imparare tutto. Quello che io eseguivo in palestra era un buon squat, corretto, sicuro, che mi permetteva una buona preparazione atletica generale … ma non mi avrebbe mai permesso di continuare ad aumentare il carico … ero inevitabilmente allo stallo.

Bisogna fare delle scelte quando si sceglie una modalità d’esecuzione, bisogna scegliere un obbiettivo. Il mio era: diventare più forte nelle power lifts secondo i parametri di gara. Bene, avevo trovato la strada giusta, dovevo solo impegnarmi e lavorare sodo. Così l’indomani andai in palestra, scaricai tutti i pesi e ripartii dal bilanciere vuoto. Giù, in accosciata, in tenuta isometrica per cinque secondi ad ascoltare il carico, i piedi, la posizione del mio corpo, a cercare l’angolo in cui il movimento aveva un senso.
Se allo squat ero una frana, non vi dico alla panca. Allo stacco non ero male, ma la bella notizia fu che il convenzionale non si addice alle mie caratteristiche fisiche, motivo per cui mi sto attualmente proiettando verso il sumo. Ovviamente sempre nell’ottica del “voglio alzare più peso”, per la preparazione fisica generale il convenzionale rimane, a mio avviso, il migliore.
E così a febbraio di quest’anno ho messo in discussione tutto quello che sapevo fare, che rimaneva un lavoro fatto bene, ma non per quello che io volevo: volevo diventare più forte di quello che ero e volevo diventarlo in maniera costruttiva, volevo mettere kg sul bilanciere, volevo eseguire le mie power lifts secondo le regole. E qual’è il modo migliore per misurarsi, per capire le regole del gioco? Giocare. Prendere quello che sai fare e porlo al giudizio di chi sa giudicare.

Quando ho messo nero su bianco la mia prima preparazione, ai primi di febbraio, non avevo ancora maturato l’idea di gareggiare, ma sicuramente volevo migliorare.
Ho realizzato così un primo programma su quattro giorni settimanali: due allenamenti di squat, due di stacco, e quattro di panca di cui una inclinata. Il quinto giorno era dedicato alle trazioni alla sbarra e al press kettlebell. Per qualcuno potrà sembrare un programma esorbitante ed esagerato. In effetti per un atleta avanzato è impossibile, ma per me che mi vedevo come una principiante, era ottimo. Avevo necessità di fare pratica. Ogni alzata veniva allenata una volta a settimana con carico leggero e volume medio ma con fermo lungo nel punto critico: 5’’al petto nella panca prima di pressare il bilanciere, 5“nell’accosciata dello squat prima di risalire, 5”in fase di incastro basso dello stacco prima di staccare il bilanciere.
Il secondo allenamento per alzata prevedeva invece l’applicazione del concetto di MAV (massima alzata veloce, una sorta di massimale tecnico del giorno), che nel mio caso era un MAV autodidatta perché nessuno vedeva effettivamente la correttezza della mia alzata. Eseguivo un 5/6 serie per 3 ripetizioni con un carico medio-crescente, passavo poi alle singole fino a trovare il carico che meglio riuscivo a gestire, quello che sentivo mio, quello che mi dava la sensazione di egemonia, di controllo, oltre al quale non sarei stata altrettanto insolente sul peso. A quel punto rimanevo su quel carico per altre 5-6 singole sempre che ad un certo punto non sentissi venire meno il controllo dell’alzata, perché in tal caso sospendevo l’allenamento. Molto spesso alla terza/quarta alzata il gioco finiva.
Un allenamento in più di panca, da programma, oltre all’inclinata, prevedeva un piccolo lavoro di richiamo tecnico a bilanciere leggero. La panca mi risultava essere in quel momento estremamente difficile, avevo infatti allargato molto la presa portando gli anulari agli 81 cm di larghezza. Un’infinità rispetto alla mia vecchia presa, ecco perché era necessario praticare un po’ di più.
Dopo sei settimane ho scaricato volume e intensità per sette giorni nei quali andavo a fare solo un po’ di pratica per poi riprendere con un nuovo programma.

Il programma successivo si sviluppava su nove settimane, anche se alla quinta vi era un brusco crollo di volume e intensità come fosse un vero e proprio scarico. Ogni settimana lo squat e la panca venivano allenati tre volte, lo stacco una. Allo squat, nel quale mi sentivo molto più ferrata e con cintura e calzature adatte sentivo di aver trovato il giusto assetto, ho applicato i programmi di Smolov prima e di Shatov poi. Con la panca invece, che ancora non sentivo mia, continuavo a praticare un allenamento con il MAV, un allenamento con il fermo 5” , e un allenamento che io chiamavo “tecnico” con carico leggero e volume significativo. Lo stacco invece lo allenavo a singole con un moto ad onda. Salivo a singole fino ad un carico dove l’alzata era pulita (picco 1). Ritornavo ad un carico basso risalendo con carichi diversi della prima onda fino a giungere ad un carico massimo leggermente inferiore al picco 1 della prima onda (picco 2). Sul picco 2 eseguivo un volume di 4-5 serie.
Gli allenamenti del pull up e del press kettlebell erano comunque allenati con un principio di miglioramento della forza e non come accessori. Non vi parlerò in questa sede di come li alleno perché andrei fuori tema dalla mia esperienza nel mondo del powerlifting, ma vi posso assicurare che moltissime delle tecniche per l’allenamento dello stacco ben funzionano con il pull up, così come i programmi di panca, rivisti, hanno un senso per il press kettlebell.

Verso la metà di maggio, mentre i miei allenamenti procedevano a pieno ritmo e stavo veramente pensando di iscrivermi al Campionato italiano di powerlifting raw, ho avuto un piccolo incidente durante un workshop, per me molto importante: strappo al gemelli mediale sx con versamento. Mancava un mese alla gara e io non camminavo. Mi obbligai ad una settimana di fermo, ovviamente continuai con l’allenamento della panca. Dalla seconda settimana dall’incidente ripresi ad allenarmi allo squat e allo stacco con carichi molto leggeri e l’aiuto di una polpaccera elastica. Alla fine di quella settimana decisi comunque di iscrivermi alla gara. In fondo quello che volevo era il confronto, capire come funzionava una gara, cosa significava esserci non come spettatrice, esperienza già vissuta, ma come atleta.

Gli ultimi dieci giorni di allenamento prima dello scarico me li ha consigliati il coach Giovanni D’Alessandro della Selezione Atletica Pesante, squadra di Roma che mi ha dato la possibilità, arruolandomi, di gareggiare. Il grande merito di Giovanni, che scrive ancora tutti i suoi programmi sulla carta con il quale ha un rapporto quasi mistico, è quello di avermi fatta riposare, dandomi un programma che prevedeva dei recuperi significativi ma provvidenziali. E ovviamente da lui ho imparato tutte le regole della pedana e dalla squadra ho imparato cosa significa allenarsi e gareggiare in gruppo. La squadra è per chi vuole crescere in questo sport come per un bambino la famiglia. Io in questi anni ho imparato a conoscermi, a percepire il peso, ad essere il trainer di me stessa. Ma non c’è mai in noi stessi abbastanza lucidità e autocritica per superare a volte dei limiti che visti con degli altri occhi sono solo passaggi.”

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